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"... qualcuno del gruppo incominciò a costruire ripari protetti, dai quali altri potevano allontanarsi per cacciare e cercare il cibo. Quando i cacciatori e i raccoglitori tornavano, il cibo veniva condiviso tra tutti i membri del gruppo. Tale adattamento portò alla cooperazione e alla suddivisione del lavoro basata su un livello relativamente elevato di intelligenza sociale.L’intelligenza sociale divenne un premio aggiuntivo." (da "Origini profonde delle società umane" di Edward O. Wilson).
Recentemente ho letto "Origini profonde delle società umane", molto interessante, l'autore riesce in maniera chiara, buona divulgazione, a ricostruire le tappe e i meccanismi evolutivi della specie umana. Lo sviluppo ha determinato la differenziazione dei compiti, alcuni si allontanano per la caccia, altri diventano stanziali.
Divisione dei compiti, specializzazione, condivisione e cooperazione. Vantaggio dell'intera comunità.
L'intelligenza sociale come elemento costitutivo di un sistema organizzato. Attributo sia del singolo che, in qualche misura della comunità. Una competenza diffusa in grado di produrre un vantaggio (premio aggiuntivo)
Questa storia dell'intelligenza sociale debbo dire che mi ha subito intrigato, ho pensato che potevo utilizzarla come una sorta di metafora per comprendere lo sviluppo delle organizzazioni sanitarie. Agli inizi del '900, quando sono stati introdotti per la prima volta dei criteri di qualità dell'organizzazione, per rendere possibile l'integrazione di attività diverse ma ugualmente necessarie per l'assistenza dei malati, si è evidenziata la necessità di una intelligenza sociale.
La capacità di relazionarsi con gli altri in maniera efficiente, costruttiva e socialmente compatibile. Attraverso di essa è possibile rendere piacevole la vita degli altri, anche se un suo utilizzo scorretto può portare a conseguenze negative come l'autocompiacimento e l'altrui manipolazione (Intelligenza sociale - Wikipedia).
A questo punto mi sono chiesto dove e quando nella mia esperienza di crescita professionale mi sono misurato con questa dimensione. Cosa ho imparato e da chi? Sicuramente fa parte di quelle competenze (soft skills) non rintracciabili nei saperi disciplinari. Competenze hard e competenze soft. Competenze necessarie comunque a lavorare nella complessità.
"La crisi dovuta agli effetti della pandemia da SARS-CoV-2 come tutte le crisi globali, ha rivelato una più profonda crisi cognitiva, la più significativa crisi del nostro tempo. La difficoltà di concepire la complessità dei problemi ha rivelato che l'ostacolo alla formulazione stessa dei problemi non sta più solo nell’ignoranza: si annida, anche e soprattutto, nella nostra conoscenza, nel modo in cui la conoscenza è prodotta e organizzata. La specializzazione disciplinare ha certo portato numerose conoscenze, ma sono spesso incapaci di cogliere i problemi rilevanti, che sono complessi.” (Mauro Ceruti - https://oneplanetschool.wwf.it/lezioni/il-tempo-della-complessità-mauro-ceruti)
Lo sviluppo professionale evidentemente è determinato da diversi fattori. Diversi saperi si usava dire una volta. Competenze cliniche, competenze organizzative.Discipline Cliniche, discipline organizzative (4 le discipline organizzative: Padronanza Personale, Modelli mentali, Visione condivisa, Apprendimento di gruppo).
Alcuni saperi sono legati strettamente alla persona e alla storia individuale di ciascuno. Nel corso degli anni, per quanto attiene alla mia esperienza, con pazienza, sofferenza e, talvolta reale dolore, ho incominciato via via a conoscermi, ho sviluppato una certa confidenza con me stesso. Questo mi ha dato la possibilità di relazionarmi abbastanza realisticamente con l'altro. Non che questo abbia realmente cambiato le cose, ma in qualche modo mi ha reso più concreto e in qualche caso mi ha anche aiutato a capire gli errori fatti o le difficoltà incontrate a svolgere un compito o un ruolo, un ruolo pubblico (visibile agli altri).
Non ho simpatia, anzi trovo francamente detestabili quelle persone che non sviluppano affatto la conoscenza di se stessi, ignorano i motivi reali dei loro comportamenti relazionali, non riconoscono limiti o difficoltà proprie. Adottano la proiezione sull'altro come unico modello di funzionamento. Questo non è certamente un positivo esempio di intelligenza sociale. Ma se questo apprendimento è così legato alla persona, ma così determinante nel contesto sociale, come consentire quell'apprendimento di gruppo capace di sviluppare una competenza diffusa in grado di produrre un vantaggio (premio aggiuntivo) per tutti?
Voglio tornare alla narrazione della mia storia di crescita professionale, chissà che non mi aiuti a fare un po più di chiarezza.
Il mio è stato, e in parte lo è ancora, un percorso non ortodosso. Non si è sviluppato in una scuola di specializzazione (cardiologia?), o in una società scientifica di riferimento. Forse per la mia incapacità di integrarmi in un gruppo, mi sarei sentito troppo omologato. Per questo, o forse solo per caso, mi sono trovato a frequentare ambiti professionali diversi e ho avuto la possibilità di incontrare professionisti molto dissimili tra loro.
I clinici. Verso la fine degli anni '70, li ho incontrati all'ospedale Santo Spirito di Roma, fuori dall'università. Lì ho imparato il rigore scientifico, l'Harrison, ancora non tradotto in italiano, era consultato costantemente, e i casi venivano presentati e discussi con il primario all'interno di meeting programmati con assidua costanza. Anche la scuola di cardiologia romana è stata per me sicuramente formativa, ma di questo voglio ragionarci un'altra volta.
Ho deciso di non fare il medico ospedaliero, mi sono appassionato alla psicoanalisi seguendo, per 4 anni, i seminari di psicoterapia psicoanalitica (Giannotti - Giannakoulas) a Neuro Psichiatria Infantile di via dei Sabelli, e poi ancora i seminari di medicina psicosomatica all'ospedale S. Giacomo di Roma (Scoppola).
A metà degli anni ottanta ho cominciato a dedicarmi alla formazione permanente del personale dei servizi alla persona in ambito socio-sanitario. In quel contesto ho conosciuto gli antropologi della scuola di Perugia e poi i sociologi di Roma Sapienza
Le persone. Posso definire incontri fortunati e importanti quelli che hanno determinato una relazione, una sintonia, un legame. Un apprendimento, una crescita all'interno di un percorso collettivo.
Andrea Alesini: Direttore Generale di una ASL di Roma negli anni novanta, è stato il primo, forse l'unico a tutt'oggi a Roma, ad avere una chiara idea di Distretto. Il primo che ci ha lavorato, fino a quando ha potuto, coinvolgendo gli operatori e i cittadini. Già ragionava in termini di interconnessione e di integrazione sia all'interno dell'Azienda che all'esterno.
Alessandro Seppilli e Maria Antonia Modolo: Università di Perugia. L'educazione alla salute, la promozione della salute. Il metodo della ricerca sul campo. Lo studio della comunità. La progettazione degli interventi. Gli obiettivi.
Sergio Tonelli: la metodologia della formazione continua. L'analisi organizzativa. La progettazione per obiettivi. La valutazione. La formazione all'interno di gruppi di lavoro
Jean Jacques Guilbert: per chi si occupa di formazione in ambito sanitario è il fondatore, un gigante, un faro. Mi ricordo che quando l'ho conosciuto, un uomo di non grande, gentile e pacato, ma assai determinato come chi si muove in un territorio conosciuto e punta alla meta. Meta che ognuno raggiunge come sa e come vuole. Leggero come il Calvino delle Lezioni Americane.
Armando Muzi: la programmazione sanitaria punto di incontro fra disposizioni normative e conoscenze epidemiologiche. L'economia sanitaria, il management.
Gigi Attenasio: quanto appreso dall'esperienza dell'antipsichiatria deve essere adattato all'intera medicina
Gianfranco Domenighetti: l'asimmetria informativa. Comunicazione e partecipazione. Il mercato della salute. La valutazione epidemiologica.
Stefano Pompili: è possibile fare il Direttore Sanitario Aziendale. Incredibile ma vero. Un esempio di rapporti professionali non patologici
Elio Borgonovi: leggere le organizzazioni sanitarie come aziende, senza essere aziendalisti
Roberto Vaccani: La caramella prima di Tonelli. Come nasce l'idea di analisi organizzativa in sanità
Piero Morosini: la valutazione. Gli strumenti di valutazione
Stefano Beccastrini: i principi di andragogia.
Da loro ho appreso anche come sviluppare l'intelligenza sociale? Non so rispondere, ma una cosa è certa, in questi incontri mi sono sentito riconosciuto sia come professionista che come persona. Ho sentito almeno la possibilità di individuare un mio spazio dove potermi muovere con coerenza e autonomia.
Altri al momento non li ricordo. Ho provato a darmi tempo, per ora non mi viene in mente nessun altro. Forse la prossima volta ...
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grazie per interessamento