30 ottobre, 2020

dpcm 24 ottobre - ben tornato Watzlawich

Poche considerazioni su l'ultimo, per ora, dpcm. 

Dopo che tutti, durante la primavera, ci siamo sperticati a dire nulla sarà più come prima, ritrovarsi, almeno apparentemente, come a marzo 2020 crea delusione e sconforto. Anche chi è lontanissimo da atteggiamenti no vax o da posizioni radicalmente critiche (dittatura sanitaria) è disorientato, confuso.

L'Italia ha adottato soluzioni restrittive non dissimili da quelle degli altri paesi europei, nessuno ha certezze assolute sull'efficacia dei rimedi, i sistemi informativi e di tracciamento, al momento, non consentono di fare di più o di fare più efficacemente.

Eppure percepisco uno stato di ansia misto a rabbia, questo è sicuramente comprensibile guardando impennarsi la curva dei contagi, ma credo che ci sia anche dell'altro.

Molti, io tra questi, hanno creduto, hanno voluto credere, che nulla sarebbe stato più come prima. Ci siamo detti, una pandemia di queste dimensioni, la prima caratterizzata dalla profusione di notizie in diretta sui molti canali mediatici, non può non determinare un cambiamento. Un cambiamento nei governanti, nei politici, nei professionisti, nella comunità di cittadini, malati, parenti, associazioni. 

Forse eravamo animati da una aspettativa un po' magica, un po' infantile. Salvifica. Forse. E' nel modo d'essere degli umani atteggiamenti.

Non voglio entrare nel merito dei singoli provvedimenti, anche se come medico di sanità pubblica da più di 40 anni, avrei titolo a parlarne più di quanti oggi si improvvisano esperti in dibattiti televisivi e sui giornali. Comprendo bene che alcune criticità sono oggettive e non risolvibili in 6 mesi. Non credo che sia facile colmare i buchi di personale (medici rianimatori, medici di urgenza, infermieri) determinatisi negli ultimi 10 anni e oltre. Questa difficoltà deriva sia dalle lungaggini procedurali, che sopratutto dall'oggettiva carenza di risorse professionali disponibili. Forse dobbiamo assumere medici dall'estero come ha già fatto UK. Altre difficoltà, che ugualmente influenzano quel sentimento di ansia mista a rabbia, possono però essere affrontate. Voglio citare alcune questioni.

  1. Comunicazione ed esercizio della leadership. Io sono convinto che nella assoluta maggioranza i comportamenti adottati dai cittadini, fino ad oggi, siano corretti e orientati alla riduzione del rischio, compatibilmente allo svolgimento delle attività quotidiane (es.mezzi di trasporto affilati). Bene se così è, non è giustificato uno stile comunicativo orientato alla sanzione e alla condanna. E' necessario puntare sul coinvolgimento e sulla partecipe  responsabilizzazione di soggetti adulti e consapevoli. 
  2. E' assolutamente necessario un fermo intervento del governo centrale che non consenta procedure diversificate da regione a regione nella gestione dei positivi, dei contatti, dei quarantenati. Una procedura nazionale. Questo non significa ridurre l'autonomia delle Regioni. Significa garantire uguali possibilità di cure a tutti i cittadini. In tempo di nazionalismi imperanti dovrebbe essere facile.
  3. I cittadini, positivi, sospetti, quarantenati devono tutti ugualmente essere presi in carico. Questo significa che almeno devono essere informati sul percorso di osservazione e trattamento a cui saranno univocamente avviati e monitorati. Conosco il tema della carenza di risorse professionali che ha reso quasi impossibile il tracciamento, ma il cittadino deve sapere quale sarà il suo percorso e chi è il suo (unico) interlocutore (vedi estenuante trattativa con MMG e PLS. Perché non affidare ai MMG un punto tamponi almeno in ogni Distretto, magari nelle case della salute, dove sono state attivate?

E' possibile che dobbiamo ancora sentire che la rilevazione dei dati a livello nazionale non risponde ai rigidi criteri univoci? Non sarebbe stato utile attivare un Sistema Informativo unico UE? Questo faciliterebbe i confronti e l'individuazione delle buone pratiche replicabili. 

Siamo ancora così sicuri che tutti quelli che protestano sono "pazzi o cattivi" (vedi Pragmatica della comunicazione umana)?

vedi link: Merkel lockdown 


28 ottobre, 2020

Covid-19 in Spagna. La seconda ondata

Concludo sottolineando che le disuguaglianze sociali non hanno soltanto influenzato l’aumento del rischio nei lavoratori precari, ma hanno colpito anche ai gruppi più vulnerabili della società, quelli che hanno perso il lavoro o che si trovavano già in una situazione di esclusione sociale, e ai quali gli aiuti promessi dello stato, stanno arrivando lentamente e in ritardo a causa delle barriere burocratiche (come nel caso del Reddito Minimo Vitale), motivo per cui si sono sviluppate azioni solidaristiche dei gruppi di mutuo soccorso di questi quartieri per sopperire a queste carenze.

Abbiamo bisogno di un po’ di tempo, non soltanto per vedere come si comporta questa seconda ondata, ma per capire l’impatto che tanto il sovraccarico del sistema sanitario, quanto l’aumento delle disuguaglianze sociali avranno sulla salute collettiva dei cittadini spagnoli.

 

Javier Segura del Pozo, medico di sanità pubblica, Madrid

Traduzione di Maria Josè Caldes, medico di sanità pubblica, Firenze

21 ottobre, 2020

Le buone letture fanno bene alla salute

 "Intersettorialità 4.0 - Le profonde trasformazioni in questo secolo sono sintomi di tre problemi strutturali profondi: 

• l’incapacità di generare benessere per tutti (frattura economica); 

• l’incapacità di generare reale partecipazione per tutti (frattura politica); 

• l’incapacità di creare opportunità di apprendimento generativo per tutti (frattura culturale). 

Una riorganizzazione completa ci porterà a ripensare e riprogettare i seguenti sistemi che, pur essendo correlati, vengono di solito considerati separatamente: la salute, l’istruzione, il cibo e la finanza. 

Inoltre, per coordinare il tutto sarà necessario un quinto sistema, quello che riorganizzerà il management e la governance." 

 

(da "Teoria U, i fondamentali. Principi e applicazioni" di C. Otto Scharmer)

13 ottobre, 2020

Memento vivere


Da tenere a mente per ridisegnare l'assistenza territoriale 


 



  • Il comportamento schizofrenico verso tutto ciò che è pubblico, riscoperto e rilegittimato come essenziale per le nostre vite, ma subito confinato da molti in un ruolo di passivo esecutore e finanziatore di interventi o di mega-piani-di-spesa decisi da pochi, senza un confronto aperto e trasparente con cittadinanza e lavoro.
  • Il pensare al civismo attivo e al privato sociale in un ruolo ancillare, di sostituzione e compensazione (a bassi salari) del welfare pubblico, non come co-attore di cambiamento verso una società più giusta.

 


https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/un-futuro-piu-giusto-e-possibile-promemoria-per-il-dopo-covid-19-in-italia

12 ottobre, 2020

Salute pubblica e assistenza di territorio

La pandemia di Covid-19 riprende a correre ancora più di prima. Riprendono ancora più frequenti gli appelli alla territorialità. Tutti affermano che il Covid si batte sul territorio. 

Come spesso succede quando i ragionamenti si riducono a slogan più facilmente si diffondono. Più facilmente se ne perde però il significato.

Lo slogan si trasforma, un po' alla volta in mantra. La soluzione verrà quindi dalla meditazione collettiva? Auguriamocelo. 

Io sono fortemente convinto che la soluzione deve venire fuori dal dibattito, civile ma serrato, dal confronto.

Il più delle volte mi capita di ascoltare, o leggere, a proposito di territorio, alcune proposte che riguardano il dipartimento di sanità pubblica (dipartimento di prevenzione), e proposte che riguardano una parte delle cure primarie, MMG e PLS. Tutto qui? Il sostantivo TERRITORIO è diventato una sineddoche. Il contenente diventa contenuto.

Questa settimana L'Espresso ed Emergency annunciano una iniziativa per la sanità pubblica "le idee che fanno bene". Sicuramente una buona proposta di una gloriosa ONLUS e di un autorevole settimanale.

Non vedo, almeno io non vedo, la partecipazione dei tanti bravi operatori del SSN a questa fase che vorremmo di rinascita.

La pandemia riprende a correre e si moltiplicano le segnalazioni che dicono che siamo arrivati, almeno in parte, impreparati alla prevista ripresa d'autunno del Covid. 

Il territorio non si è sviluppato quanto necessario e auspicato.

Io sono convinto che questo è successo perché manca il confronto, il dibattito sulle idee e sulle competenze. 

Abbiamo bisogno di ridisegnare l'assistenza alla persona nel contesto extra ospedaliero. Non dobbiamo scambiare l'assistenza territoriale collettiva del dipartimento territoriale con l'assistenza alla persona. Assistenza di base ma anche specialistica. Assistenza extra ospedaliera, ma anche domiciliare e residenziale. Assistenza no-profit anche attraverso soggetti privati accreditati. 

In questa delicata fase non possiamo rinunciare al pensiero organizzativo. Non possiamo rinunciare a coltivare le idee. Non possiamo abdicare al nostro ruolo di curare le idee sbagliate.   

01 ottobre, 2020

Agricoltura sostenibile