La dimensione tempo nella malattia è strettamente collegata alla visione della medicina. Visione evidentemente fortemente dipendente da elementi culturali presenti nella comunità. Talmente radicati nella comunità da essere pervasivisi sia tra gli operatori, gli addetti esperti e competenti con anni di studio e di esperienza, sia tra gli utenti, cittadini, malati, che si rivolgono, o si rivolgeranno, al servizio sanitario.
La visione ancora diffusa della medicina è quella di un intervento rapido, un po' geniale, risolutivo.
Un atto eroico. Una medicina quasi miracolistica, quasi in quanto se le cose vanno per il verso giusto non c'è sacrificio di nessuno, né l'operatore sanitario, né il paziente.
Io ritengo che questa visione, anche un po' inconsapevolmente, è ancora molto diffusa. Visione diffusa anche con qualche ragione se pensiamo al mondo dell'urgenza e, generalizzando un po', all'assistenza ospedaliera nel suo complesso.
E' evidente che il permanere di questo immaginifico modello gratifica fortemente l'operatore sanitario, e il paziente. Il medico è tentato di sentirsi un salvatore, il paziente è ben contento di aver risolto il suo problema, ha vinto la paura, ha avuto una iniezione di fiducia.
Il legame, la relazione si rinsalda. Spesso succede questo. Dobbiamo essere tutti contenti e soddisfatti che sia così.
Non tutte le malattie, meglio: non tutti i problemi di salute che affliggono le persone rispondono a questo modello di salute/malattia che potremmo indicare come dei tempi definibili. Le patologie croniche (Long Term Care) non rispondono a questo modello, i tempi non sono definibili, la guarigione non avviene e le gratificazioni per medici e pazienti sono modeste. Piccoli successi, il più delle volte non incrementali. Ho imparato molto di questo da psichiatri e geriatri. I loro pazienti sono proprio quelli che soffrono situazioni che possono durare anni, decine d'anni, la relazione è fortissimamente condizionata da questo. In un lungo rapporto si cercano, si dovrebbero cercare piccoli elementi di reciproca gratificazione. La restitutio ad integrum non è prevista. La caratterialità, la reciproca caratterialità della relazione viene alla luce, mette in evidenza aspetti specifici da sperimentare nella continuità del lungo periodo.
In tanti anni di lavoro, con i tanti colleghi incontrati, ho potuto osservare anche la difficoltà professionale di sopportare una, tante relazioni così strutturate.
Evidentemente, fino a quando le LTC non saranno espunte dalla gestione del servizio sanitario, perché considerate solo nella dimensione sociale, e quindi di competenza di altri (EELL e terzo settore), c'è un solo modo di rispondere alla criticità della dimensione tempo nelle patologie croniche.
La criticità può essere affrontata con gli strumenti della organizzazione dei servizi e con la formazione degli operatori. Mi sono convinto che la formazione degli operatori sanitari di territorio deve essere in parte diversa. Deve essere diversa dalla formazione degli operatori dell'assistenza ospedaliera. Non sto pensando alla formazione sui contenuti clinici, ma alla formazione e all'organizzazione sanitaria necessaria alla gestione dei vissuti professionali in funzione della relazione a lungo termine con il paziente.
Questa è una criticità da affrontare nell’immediato, soprattutto se la direzione degli interventi sanitari andrà nel verso giusto e, come ormai si auspica da più parti, ci si dovrà sempre più volgere ad un’assistenza territoriale dove il contatto relazionale con il paziente diventerà il vero fulcro e una continua sfida; la stessa organizzazione dei servizi sarà sempre più messa in discussione e riformulata in quanto dovrà secondo criteri “altri” approcciare la realtà clinica e le realtà sociali del territorio, ciò a maggior ragione quando si “curano” utenti con patologie croniche.
RispondiEliminaGià molto si è fatto in questi ultimi anni sulla formazione alle cosiddette Non Technical Skills (competenze non tecniche) cioè quelle “abilità gestionali, comportamentali e relazionali che non sono specifiche dell’expertise clinica di una professione, ma sono ugualmente importanti ai fini della riuscita di pratiche operative nel massimo della sicurezza e dell’efficacia”
Ciò ha sicuramente arricchito la consapevolezza dei professionisti circa la modalità di gestire i pazienti anche secondo criteri non solamente clinici; in particolare chi deve occuparsi di patologie LTC, come chiaramente espresso nel post, deve affrontare un’ulteriore dimensione valoriale che è quella del Tempo, dovrà in maggior misura implementare capacità interpersonali specifiche per monitorare nel lungo tempo il suo rapporto con questi pazienti, il suo vissuto esperienziale con loro e con l’ambiente che li circonda , la relazione rappresenta una parte fondamentale della cura e la relazione nel lungo tempo ha implicazioni emotive ed affettive molto rilevanti.
Il lavoro di rete già avviato in diverse realtà socio sanitarie e territoriali rappresenterà il futuro per poter leggere con attenzione gli aspetti del sociale in cui è immerso il paziente.
In linea con quanto descritto nel post sarebbe opportuno mettere a regime forme di supporto specifiche ai professionisti sanitari che hanno di fronte situazioni cliniche dove “non si guarisce”, ma che in ogni caso bisogna accompagnare spesso in solitudine. Supporto che necessariamente differisce da quello già auspicato per il personale ospedaliero che si trova di fronte ad emergenze e a situazioni di patologie urgenti.