28 giugno, 2020

CoVid-19: distanziamento fisico e distanza sociale

Giorni fa mi è capitato di seguire il webinar* organizzato da una multinazionale del farmaco. Argomento dibattuto: le modifiche organizzative introdotte per fronteggiare i rischi di contagio da virus SARS-CoV-2 nel corso della pandemia CoVid-19 nel nostro paese. Il webinar mi ha dato l'opportunità di svolgere alcune considerazioni secondo un filo logico, il mio, che cerca di ricavare qualche insegnamento da quanto ci è capitato di vivere in questi mesi.
  1. La questione prende le mosse da una considerazione tanto ribadita, quanto disattesa: il capitale umano, le competenze, il kow how degli operatori, sono il vero capitale su cui far crescere l'organizzazione. Questa affermazione assume ancora maggiore significato per le organizzazioni di servizio alla persona. Il capitale umano.
  2. Il decreto 81 (D.Lgs. 81/2008) e le disposizioni successive hanno fortemente richiamato l'attenzione sui rischi per la salute dei lavoratori anche relativamente alla dimensione sociale del lavoro.
  3. Ogni impresa deve tutelare la sicurezza di lavoratori e utenti, ma anche promuovere la salute e favorire opportuni stili di vita degli operatori. Tutelare e sviluppare il suo capitale di conoscenza e competenza, perseguire il piacere del lavoro e infine la felicità. Questo approccio fortemente valoriale è coerente con alcune revisioni della definizione di salute, ma anche con alcune letture su benessere e ricchezza di un paese. Sul ruolo che le macro-organizzazioni del lavoro possono giocare per la salute e il benessere della comunità. Secondo alcuni studi**, oltre 2.000.000 gli occupati complessivi del comparto sanità in Italia (10 % del totale degli occupati in Italia).
  4. Il lockdown ha forzosamente determinato lo sviluppo delle relazioni (organizzative) a distanza, lo smart working. Ha reso necessaria una riflessione su come tenere insieme distanza fisica e vicinanza relazionale. Ha posto il tema della solitudine (sul lavoro). Ha ridefinito il tema della relazione organizzativa, della dimensione sociale, dei processi sociali nel ciclo lavorativo. E' smart essere agilmente a casa, fortemente connesso, ovviamente non è solo una questione di download e upload. Tutto questo era già fortemente presente nel lavoro pre CoVid, anche se in barba al decreto 81 era abbondantemente trascurato. Un caffè insieme davanti al distributore automatico poteva bastare a tacitare la coscienza della maggior parte dei dirigenti.  
  5. L'urgente necessità di introdurre radicali trasformazioni organizzative, per fronteggiare Covid-19, non ha consentito fino ad ora di avviare una qualche riflessione sulla introduzione dello smart working nella aziende sanitarie. E' opportuno cominciare a porsi il problema.  
  6. In questi ultimi mesi, con non poca enfasi retorica, molti hanno invocato un ritorno dell'assistenza sanitaria (tutta) al pubblico. Sarà bene non assumere posizioni massimaliste e neanche aspettare che l'oblio cancelli completamente l'esperienza CoVid. Analizziamo le buone prassi, e gli errori, dovunque queste e quelli si siano sviluppate, sia nel pubblico che nel privato.
  7. Ancora una volta sembra apparire con evidenza la modesta competenza di Responsabili di struttura e Coordinatori nella gestione (in presenza o a distanza) delle risorse umane. Con grande coerenza va perseguita la centralità della persona, sia che si tratti di persona-utente che di  persona-operatore  

  * webinar SanofiItalia

**https://www.wecanjob.it/archivio21_settore-sanitario-italia_0_164.html

17 giugno, 2020

Tempo di malattia - tempo di cura - la dimensione tempo nel vissuto degli operatori della salute

La dimensione tempo nella malattia è strettamente collegata alla visione della medicina. Visione evidentemente fortemente dipendente da elementi culturali presenti nella comunità. Talmente radicati nella comunità da essere pervasivisi sia tra gli operatori, gli addetti esperti e competenti con anni di studio e di esperienza, sia tra gli utenti, cittadini, malati, che si rivolgono, o si rivolgeranno, al servizio sanitario. 
La visione ancora diffusa della medicina è quella di un intervento rapido, un po' geniale, risolutivo. 
Un atto eroico. Una medicina quasi miracolistica, quasi in quanto se le cose vanno per il verso giusto non c'è sacrificio di nessuno, né l'operatore sanitario, né il paziente.
Io ritengo che questa visione, anche un po' inconsapevolmente, è ancora molto diffusa. Visione diffusa anche con qualche ragione se pensiamo al mondo dell'urgenza e, generalizzando un po', all'assistenza ospedaliera nel suo complesso. 
E' evidente che il permanere di questo immaginifico modello gratifica fortemente l'operatore sanitario, e il paziente. Il medico è tentato di sentirsi un salvatore, il paziente è ben contento di aver risolto il suo problema, ha vinto la paura, ha avuto una iniezione di fiducia. 
Il legame, la relazione si rinsalda. Spesso succede questo. Dobbiamo essere tutti contenti e soddisfatti che sia così.
Non tutte le malattie, meglio: non tutti i problemi di salute che affliggono le persone rispondono a questo modello di salute/malattia che potremmo indicare come dei tempi definibili. Le patologie croniche (Long Term Care) non rispondono a questo modello, i tempi non sono definibili, la guarigione non avviene e le gratificazioni per medici e pazienti sono modeste. Piccoli successi, il più delle volte non incrementali. Ho imparato molto di questo da psichiatri e geriatri. I loro pazienti sono proprio quelli che soffrono situazioni che possono durare anni, decine d'anni, la relazione è fortissimamente condizionata da questo. In un lungo rapporto si cercano, si dovrebbero cercare piccoli elementi di reciproca gratificazione. La restitutio ad integrum non è prevista. La caratterialità, la reciproca caratterialità della relazione viene alla luce, mette in evidenza aspetti specifici da sperimentare nella continuità del lungo periodo. 
In tanti anni di lavoro, con i tanti colleghi incontrati, ho potuto osservare anche la difficoltà professionale di sopportare una, tante relazioni così strutturate.
Evidentemente, fino a quando le LTC non saranno espunte dalla gestione del servizio sanitario, perché considerate solo nella dimensione sociale, e quindi di competenza di altri (EELL e terzo settore), c'è un solo modo di rispondere alla criticità della dimensione tempo nelle patologie croniche. 
La criticità può essere affrontata con gli strumenti della organizzazione dei servizi e con la formazione degli operatori. Mi sono convinto che la formazione degli operatori sanitari di territorio deve essere in parte diversa. Deve essere diversa dalla formazione degli operatori dell'assistenza ospedaliera. Non sto pensando alla formazione sui contenuti clinici, ma alla formazione e all'organizzazione sanitaria necessaria alla gestione dei vissuti professionali in funzione della relazione a lungo termine con il paziente.
 

09 giugno, 2020

la formazione dopo CoVid-19

In una recente lettera a Quotidiano Sanità, il segretariato degli studenti in medicina, ha indicato le 5 raccomandazioni, individuate attraverso un percorso partecipato con i diretti interessati, per una didattica efficace. Interessante, molto interessante.
Sarebbe molto opportuno che in questo momento, mentre si ragiona di ripartenza e di sviluppo del SSN si dedicasse un po' di attenzione anche al tema della formazione degli operatori sanitari. 

Le 5 raccomandazioni finali del SISM sono:

1) Non accontentarti di ricevere insegnamenti limitati ad un mero esercizio mnemonico che non utilizzano processi di apprendimento attivo, richiedi di centrare l’insegnamento sulla visita semeiologica e sul razionale che sottende ad ogni processo diagnostico e terapeutico.
2) Non osservare il paziente solo dal punto di vista biologico ma considera anche la componente soggettiva della malattia, il grado di alfabetizzazione sanitaria e il contesto familiare e sociale in cui il paziente è inserito.
3) Non eseguire alcuna procedura diagnostico-terapeutica senza aver precedentemente raccolto l’anamnesi ed esserti informato sulle possibili allergie o patologie pregresse del paziente.
4) Non trascurare di informarti non solo sui benefici ma anche sulle controindicazioni o gli effetti collaterali delle procedure diagnostiche o terapeutiche.
5) Prima di entrare nella stanza e iniziare la visita non dimenticarti di chiedere al medico/tutor le informazioni sullo stato di salute del paziente e comunque non effettuare manovre diagnostiche senza avere ottenuto il preventivo consenso informato del paziente.


Segretariato studenti in medicina

01 giugno, 2020

CoVid-19 e l'incertezza

Il tempo è un fattore critico primario in ogni azione della nostra vita. Il tempo è un fattore critico della attuale pandemia da CoVid-19.

E' un fattore critico non solo in quanto misura e limite delle azioni individuali e collettive, ma anche nel vissuto emotivo di ciascuno di noi, magari in maniera diversa, individualizzata, ma presente.

Ci aspettiamo, abbiamo imparato negli anni, che determinate esperienze, determinate situazioni, possano durare un certo tempo. In un film di qualche anno fa, il protagonista misurava le attività in "unità tempo". Ogni attività consuma una certa quantità di "unità tempo".

Tornando al tema della attuale Pandemia, con una accettabile dose di approssimazione, possiamo dividere le malattie in 2 grandi macrocategorie. Tradizionalmente riteniamo, più o meno a ragione, che le malattie infettive hanno una fase di incubazione determinata (14 gg), una fase acuta e quindi l'esito.  
L'atra macrocategoria, dicotomica rispetto alla precedente, è rappresentata dalle patologie croniche, le chiamiamo Long Term Care. 
Indefinibile la data di esordio e la durata, ugualmente la fase di incubazione.
Indefinibile la durata della patologia e quindi la data della guarigione che, semplicemente non c'è.

Quando conosciamo i tempi, veri o presunti di una situazione, siamo nel campo del prevedibile. Di contro la non conoscenza dei tempi ci colloca nell'imprevedibile. Incertezza.

Ormai sembra evidente che la sanità pubblica può adottare, giustamente, comportamenti straordinari per fronteggiare le soluzioni emergenti. Stato di necessità.
Ormai abbiamo imparato che la lettura dicotomica: malattie infettive vs LTC non corrisponde alla realtà. Gia l'AIDS si è manifestato come una infezione da Hiv con un decorso assimilabile ad una malattia cronica (riacutizzazioni e remissioni), non coerente con la meccanica delle malattie infettive classiche.

L'atteggiamento, la capacità di attenzione, anche della sanità pubblica, sembra in qualche modo legata al tempo. Quello che accade in un tempo definito ci galvanizza e determina provvedimenti, anche straordinari. Quello che accade in un tempo lungo, indefinito, scappa dalla nostra attenzione. Non è una priorità. Indipendentemente anche dalla effettiva mortalità.
L'epidemia di CoVid-19 ci sta allenando all'incertezza. Le indagini sierologie, ma anche i tanto attesi tamponi, non forniscono tutte le informazioni di cui avremmo bisogno. 

Dobbiamo accettare di uscire da una logica un po' meccanicistica:
causa > effetto > risoluzione. 
Dobbiamo accettare l'incertezza dei problemi di salute che hanno tempi indefiniti, forse lunghi.
Questo ci insegnerà a dedicare attenzione, a tollerare, a prioritarizzare le LTC. Questo diverso atteggiamento determinerà la più adeguata allocazione di risorse alla assistenza territoriale. Questo forse ci porterà a studiare diversi metodi e strumenti di intervento.  

Agricoltura sostenibile