26 febbraio, 2020

#ipocondria

La paura di contrarre una malattia, la convinzione di essere ammalati in base all'errata semeiotica di segni e sintomi fisici. E' un punto di vista depressivo sulla propria fragilità. L'ipocondria porta con se l'atteggiamento lamentoso e inconsolabile; la generale sfiducia nei confronti dei sistemi di cura

21 febbraio, 2020

a proposito di #determinanti e #fattori di salute



Un interessante articolo di Giampaolo Collecchia apparso su Medicina Internazionale 



https://www.saluteinternazionale.info/2019/04/il-modello-sindemico/



il modello sindemico

Il concetto di modello sindemico è stato introdotto negli anni 90 da un antropologo medico, M. Singer. Il termine sindemico, sottoutilizzato e (relativamente) nuovo per una concettualizzazione in realtà nota, è la crasi delle parole sinergia, epidemia, pandemia ed endemia. Inizialmente applicato per le malattie infettive, in particolare HIV/AIDS e tubercolosi, il modello è utilizzabile per l’analisi delle interazioni di malattie o condizioni patologiche di qualunque tipo: patologie croniche non trasmissibili (ad esempio diabete, cancro, ictus, malattie mentali), tossicodipendenze, malnutrizione, alterazioni del comportamento[1]. In particolare, si propone di approfondire l’interazione sinergica tra due o più malattie e le situazioni sociali in cui le condizioni patologiche si realizzano, considerando non solo la classica definizione biomedica delle tipiche condizioni di comorbilità, ma anche, con uno sguardo allargato, l’interazione tra fattori genetici, ambientali e di stile di vita. Con le parole dello stesso Singer: “Syndemics are the concentration and deleterious interaction of two or more diseases or other health conditions in a population, especially as a consequence of social inequity and the unjust exercise of power”. [2,3]
Alla base del costrutto ci sono tre criteri di base:
  1. compresenza, in una stessa popolazione, di due o più malattie o condizioni di salute;
  2. presenza di fattori contestuali e sociali in grado di creare le condizioni per il loro raggrupparsi
  3. il conseguente clustering determina una interazione negativa, sul piano biologico, sociale o comportamentale, aumentando il carico di malattia nella popolazione.
Il modello sindemico è applicabile sia a livello individuale, clinico, che di popolazione, soprattutto in comunità con sfavorevoli condizioni di vita per difficoltà economiche, disuguaglianza sociali, inadeguato accesso alle cure. Esso presenta un deciso orientamento ad evidenziare le reti di connessione tra lo stato di salute/malattia e i determinanti socioeconomici in grado di determinarne la diffusione e la progressione, evitando la frammentazione assistenziale tipica dei sistemi sanitari classici. Le implicazioni riguardano tutte le azioni volte a limitare le disuguaglianze sociali e l’esposizione a fattori ambientali nocivi, in una prospettiva generale di attenzione alla tutela ed alla promozione dei diritti umani[4].


vedi anche 

Un contributo di Paolo Boldrini. ICF / Modello sindemico
Gli anni Novanta hanno conosciuto lo sviluppo contemporaneo di due modelli di salute/malattia alternativi al comune modello biologico, e che hanno fra loro diverse analogie. È una coincidenza probabilmente dovuta ad un momento storico in cui si andavano facendo sempre più evidenti le criticità dei modelli tradizionali di malattia, ed i loro limiti nel dare risposte efficaci alla domanda di salute, in un contesto epidemiologico e sociale in profonda evoluzione. In questo senso, si possono considerare i due nuovi approcci come figli dello stesso contesto culturale, anche se la loro crescita è stata apparentemente indipendente.
Uno dei due approcci è il modello ICF, ben conosciuto nel mondo della riabilitazione, che a partire dall’inizio del secolo ha sostituito il precedente modello ICIDH nelle classificazioni dell’OMS.
L’altro è il modello cosiddetto “sindemico”, certamente meno conosciuto nel nostro settore. L’occasione per parlarne è fornita da una recente serie di articoli su questo tema, comparsi su Lancet (1-4), e dalle sue possibili interessanti implicazioni per il mondo della riabilitazione.
...
A differenza dei comuni modelli medici basati sulla comorbidità e multimorbidità, l’approccio sindemico considera gli effetti sulla salute delle interazioni fra malattie ed i fattori sociali, ambientali ed economici che favoriscono tali interazioni e aggravano le malattie.
Inizialmente adottato per le malattie trasmissibili, come l’AIDS, è stato applicato successivamente anche a patologie croniche non trasmissibili, che rappresentano una causa principale di disabilità a livello mondiale, ed è questo uno degli aspetti che possono rivestire interesse per il mondo della riabilitazione.
Alla base del concetto sistemico ci sono tre criteri di base: compresenza di due o più malattie come caratteristica del quadro patologico tipico di una determinata popolazione; l’interazione fra queste malattie sul piano biologico, sociale e psicologico; i fattori sociali su larga scala (di macro-livello) che hanno causato inizialmente il raggrupparsi ed il coesistere di tali condizioni patologiche.
Il modello sindemico si può applicare sia a livello individuale, clinico, che a livello di popolazione, e ritiene che la singola malattia non si possa isolare dalle altre condizioni sanitarie e sociali. Dal punto di vista antropologico, questo rimanda alla differenza fra “disease” (un’esperienza sul piano fisico) e “illness” (un’esperienza sociale)
Risulta spontaneo rilevare in questo modello analogie con l’approccio bio-psico-sociale che caratterizza il modello ICF, e viene da chiedersi se e come possa trovare adozione e sviluppo in ambito riabilitativo.
Il modello sindemico si pone in una prevalente visione di “public health”, con un deciso orientamento a sottolineare i determinanti socio economici nella diffusione e progressione delle malattie. Le implicazioni operative non riguardano solo le politiche strettamente sanitarie, ma anche tutte le azioni che possono limitare le disuguaglianze sociali e l’esposizione a fattori ambientali nocivi, in una prospettiva generale di attenzione alla tutela ed alla promozione dei diritti umani, e non solo riguardante il diritto alla salute.
È facile rilevare come l’attenzione ai determinanti sociali accomuni questo modello al modello ICF, in cui i fattori ambientali hanno un ruolo di assoluta evidenza.
Credo sia opportuno sollecitare la nostra comunità professionale ed il mondo della riabilitazione in generale ad approfondire la conoscenza di questo approccio e ad esplorarne le possibili implicazioni teoriche ed operative.

Paolo Boldrini

Bibliografia

  1. Editorial: Syndemics: health in context – The Lancet, 2017; 389: 881.
  2. Singer M, Bulled N, Ostrach B and Mendenhall E. – Syndemics and the biosocial conception of health. The Lancet, 2017; 389: 941-50
  3. Mendenhall E, Kohrt BA, Norris SA, Ndetei D, and Prabhakaran D. Non-communicable disease syndemics: poverty, depression, and diabetes among low income populations. The Lancet 2017; 389 951-63.
  4. Willen S, Knipper M, Abadia-Barrera CE, and Davidovitch N. Syndemic vulnerability and the right to health. The Lancet 2017; 389:964-77

14 febbraio, 2020

#medicinadigenere nel SSN

http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2860_allegato.pdf

Il concetto di Medicina di Genere nasce dall’idea che le differenze tra uomini e donne in termini di salute siano legate non solo alla loro caratterizzazione biologica e alla funzione riproduttiva, ma anche a fattori ambientali, sociali, culturali e relazionali definiti dal termine “genere”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il “genere” come il risultato di criteri costruiti su parametri sociali circa il comportamento, le azioni e i ruoli attribuiti ad un sesso e come elemento portante per la promozione della salute. Le diversità nei generi si manifestano: 

  • nei comportamenti, negli stili di vita così come nel vissuto individuale e nel diverso ruolo sociale 
  • nello stato di salute, nell’incidenza di molteplici patologie, croniche o infettive, nella tossicità ambientale e farmacologica, nelle patologie lavoro correlate, salute mentale e disabilità, in tutte le fasce di età (infanzia, adolescenza, anziani) e in sottogruppi di popolazione svantaggiati 
  • nel ricorso ai servizi sanitari per prevenzione (screening e vaccinazioni), diagnosi, ricovero, medicina d’urgenza, uso di farmaci e dispositivi medici
  • nel vissuto di salute, atteggiamento nei confronti della malattia, percezione del dolore, etc. 
Pertanto, in base all’indicazione dell’OMS, si definisce Medicina di Genere lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. Infatti, molte malattie comuni a uomini e donne presentano molto spesso differente incidenza, sintomatologia e gravità. Uomini e donne possono presentare inoltre una diversa risposta alle terapie e reazioni avverse ai farmaci. Anche l’accesso alle cure presenta rilevanti diseguaglianze legate al genere. 

Il concetto di Medicina di Genere nasce dall’idea che le differenze tra uomini e donne in termini di salute siano legate non solo alla loro caratterizzazione biologica e alla funzione riproduttiva, ma anche a fattori ambientali, sociali, culturali e relazionali definiti dal termine “genere”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il “genere” come il risultato di criteri costruiti su parametri sociali circa il comportamento, le azioni e i ruoli attribuiti ad un sesso e come elemento portante per la promozione della salute. Le diversità nei generi si manifestano: 

  • nei comportamenti, negli stili di vita così come nel vissuto individuale e nel diverso ruolo sociale 
  • nello stato di salute, nell’incidenza di molteplici patologie, croniche o infettive, nella tossicità ambientale e farmacologica, nelle patologie lavoro correlate, salute mentale e disabilità, in tutte le fasce di età (infanzia, adolescenza, anziani) e in sottogruppi di popolazione svantaggiati 
  • nel ricorso ai servizi sanitari per prevenzione (screening e vaccinazioni), diagnosi, ricovero, medicina d’urgenza, uso di farmaci e dispositivi medici
  • nel vissuto di salute, atteggiamento nei confronti della malattia, percezione del dolore, etc. 
Pertanto, in base all’indicazione dell’OMS, si definisce Medicina di Genere lo studio dell’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso) e socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. Infatti, molte malattie comuni a uomini e donne presentano molto spesso differente incidenza, sintomatologia e gravità. Uomini e donne possono presentare inoltre una diversa risposta alle terapie e reazioni avverse ai farmaci. Anche l’accesso alle cure presenta rilevanti diseguaglianze legate al genere. 

02 febbraio, 2020

#salutebenecomune Per un una riflessione condivisa sulla salute come bene comune


#La scuola di servizio civico

Roma esige un salto di qualità nel servizio pubblico: nel livello politico-amministrativo, come in quello tecnico-amministrativo e gestionale. Scontento e sfiducia marciano assieme, nella popolazione. Questo è inammissibile e non sostenibile, a lungo, per una Città che ha caratteri e compiti universali, e nella quale oggi la cittadinanza non vede assicurati livelli di servizi decenti in troppe aree della convivenza civile organizzata. La competizione, inevitabile, con altre metropoli del mondo e città italiane non può svolgersi su queste basi precarie, pena l’aggravamento del declino economico e sociale della Capitale e della qualità della vita per i suoi abitanti (e per i visitatori).
Il primo proponente di questa iniziativa, Francesco Rutelli, ha ricevuto varie sollecitazioni ad un rinnovato impegno per la Città. (da La Repubblica del 26.01.2020)
Proposta interessante che mette in evidenza come troppo spesso i Servizi, i servizi pubblici soprattutto, soffrano anche a causa di una limitata esperienza dei dirigenti chiamati a gestire organizzazioni complesse che svolgono attività a favore della comunità.
Molte volte mi è capitato di ascoltare commenti di cittadini e professionisti che mettono in evidenza la limitata esperienza di amministratori pubblici. 
Un ulteriore stimolo alla riflessione ce la offre Macron che, in contrapposizione a quanto da me affermato, decide di chiudere l'ENA la scuola più famosa e antica per la formazione delle classi dirigenti.
A chi come me, ha una opinione diversa da quella di Macron, stimolato dalla notizia apparsa su La Repubblica, propongo una prima riflessione partendo dalla riconosciuta necessità di creare un nuovo, originale, specifico canale formativo per i futuri amministratori della cosa pubblica. Un nuovo canale formativo capace di essere performativo e capace di esprimere valori. E' evidente che la formazione della futura classe dirigente che andrà a fornire le sue competenze  sia a livello politico-amministrativo che tecnico-amministrativo e gestionale deve esprimere valori. Valori che vanno definiti, esplicitati, ovviamente condivisi.
Quali valori deve esprimere un percorso formativo con questi obiettivi ? Evidentemente una particolare attenzione deve essere dedicata ai valori di salvaguardia e sviluppo dei beni comuni.
La Salute è il bene comune al di sopra di tutti, forse anche della pace e della sicurezza, in quanto bene per definizione capacitante. 
A questo riguardo va segnalata la mancanza del tema salute nella presentazione della Scuola di servizio civico e da questo sono stato stimolato a fare queste brevi considerazioni.
Ecco su questa mancanza, grave mancanza, mi piacerebbe avviare una prima riflessione. Come è possibile ? Dopo 40 anni di Servizio Sanitario è ancora necessario ragionare su Salute Bene Comune. 
Una seconda riflessione la voglio proporre a proposito dell'affermato chiaro presupposto (vedi presentazione Scuola di servizio civico): chiunque governerà Roma (o comunque  Ente di pubblica utilità, credo si possa affermare) non potrà essere una persona sola al comando.
L'affermazione di questo presupposto porta con se la necessità di focalizzare l'attenzione su diversi aspetti metodologici:
Leadership e non leader, leadership diffusa tra le diverse competenze agite. Non solo technical skills ma obbligatoriamente soft skills, anzi soprattutto soft skills. Metodologia didattica appropriata per lo sviluppo delle conoscenze e delle competenze. Quindi metodologie didattiche difficilmente riconducibili solo alle tecniche d'aula. E la formazione on de job e/o la formazione sul campo attraverso tirocini e stage ? Tutto questo da declinare coerentemente ai valori esplicitati. Anche questo un lavoro da fare a partire dalla progettazione formativa, progettazione coerente ai valori, metodologie didattiche coerenti alle competenze da sviluppare. Poi i docenti ... 

Buon lavoro Francesco Rutelli ce la puoi fare.

mario ronchetti 
  
    


Agricoltura sostenibile